Il Premio Lasker 2010 parla Italiano.


Napoleone Ferrara, cervello italiano “fuggito” 
da Catania a 26 anni, è stato insignito del Nobel americano 
per la scoperta del fattore angiogenetico VEGF


Sono ormai 65 anni che la Fondazione Albert e Mary Lasker premia i campioni della ricerca scientifica mondiale, i ‘visionari’ che, con intuizione e perseveranza, effettuano scoperte le cui ricadute consentono di allungare e migliorare la qualità della vita. Conosciuti come i ‘Nobel americani’, i premi Lasker hanno in molti casi realmente rappresentato l’anticamera del vero Nobel. E in passato, questa prestigiosa sequenza ha visto protagonisti tre famosi italiani: Rita Levi Montalcini, Mario Capecchi e Renato Dulbecco. Ma nell’albo d’onore dei Lasker, i nomi italiani non finiscono qui. Nel 2010 il Lasker per la ricerca clinica è andato infatti a Napoleone Ferrara, un cervello italiano ‘in fuga’ ormai da oltre un quarto di secolo, da quando a 26 anni ha lasciato la sua Catania per una borsa di studio fattagli avere dal suo mentore di allora, il professor Umberto Scapagnini. La meta del giovane siciliano era l’Università di California di San Francisco (UCSF), ma oggi Ferrara è uno dei nomi di punta dell’azienda bio-tech californiana Genentech. Il premio gli è stato conferito per la scoperta del vascular endothelial growth factor (VEGF) un fattore di crescita angiogenetico che consente ai tumori di nutrirsi, espandersi e disseminarsi a distanza e che rappresenta un fattore chiave nella generazione maculare ‘umida’, una delle più importanti cause di cecità nell’anziano.

“Coltivando cellule di ipofisi bovina, mi imbattei per caso – racconta Ferrara dalle pagine di Nature Medicine – in una popolazione di cellule non secernenti ormoni, dotate di caratteristiche peculiari. Le identificammo come cellule follicolari. La loro funzione era poco chiara ma le loro proiezioni citoplasmatiche contraevano stretti rapporti con gli spazi perivascolari, caratteristica che aveva indotto altri a ritenere che avessero un ruolo nella vascolarizzazione ipofisaria. Trovai intrigante questa possibilità e decisi così di testare il mezzo di coltura delle cellule follicolari su colture di cellule endoteliali. Per la mia gioia, questo brodo di coltura stimolava  fortemente la crescita delle cellule endoteliali”.

Nel frattempo Ferrara  lascia il Centro di Endocrinologia della Riproduzione all’UCSF, per la posizione di ricercatore in Genentech. Qui doveva occuparsi di relaxina, un ormone facilitante il parto, ma la policy
dell’azienda consentiva ai suoi scienziati di lavorare nel tempo libero anche a progetti personali, mettendo loro a disposizione le tecnologie avanzatissime dei suoi laboratori. Nel 1989 Ferrara riesce così finalmente ad individuare una misteriosa proteina angiogenetica, alla quale dà il nome di VEGF e, nel 1992, insieme a Lewis Williams dell’UCSF, scopre il primo recettore per il VEGF (VEGFR-1). Un anno dopo, realizza un anticorpo monoclonale anti-VEGF, in grado di bloccare la crescita di varie linee cellulari tumorali nei topi, aprendo così la strada allo sviluppo del bevacizumab, il primo farmaco anti-angiogenetico impiegato in oncologia. Sempre
all’inizio degli anni ’90, in collaborazione con i ricercatori del Joslin Diabetes Center di Boston, dimostra la presenza di elevate concentrazioni di VEGF negli occhi dei pazienti con retinopatia diabetica. Il gruppo di  Ferrara, mette dunque a punto un anticorpo monoclonale antiVEGF, a somministrazione intraoculare. E’ il ranibizumab, 10-20 volte più potente del bevacizumab nell’inibire la proliferazione endoteliale indotta dal
VEGF, oggi utilizzato in tutto il mondo per il trattamento della degenerazione maculare senile ‘umida’.  Venticinque anni di ricerche geniali che hanno salvato la vista a oltre mezzo milione di persone e regalato anni di vita ai pazienti oncologici.

A cura di MC.
Tratto dal 'Giornale della Previdenza' - Anno 2011, 1.

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